Prima Orsini ora Basile: l’uno parla di Ucraina, l’altra di Gaza e West Bank occupato. Persone competenti che espongono con coerenza e convinzione solide opinioni contrarie al mainstream. E accettano di essere sbeffeggiate e attaccate pubblicamente. Perché li invitano? Forse per dimostrare che in un Paese democratico si dà spazio a tutti? Non è così: dopo la pandemia la comunicazione si è molto evoluta e si è compreso come sia utile invitare nei talk-show pochi testimonial contrari, possibilmente personaggi folkloristici (come Corona e in forma minore anche Orsini) o attaccabili sul piano personale per rinforzare le opinioni che si vogliono affermare. Così che alla fine di ogni trasmissione emerge ancor più forte e chiara la linea dominante della testata.
L’esposizione delle posizioni contrarie dei contestatori invitati consente ai direttori delle trasmissioni di ribadire la linea. Il trucco è semplice: offrono più tempo e consentono più veemenza agli ‘amici’ ai quali è consentito ridicolizzare le opinioni dissenzienti. Difficile pensare che chi partecipa ai talk-show in posizione critica sia in cattiva fede. Non oso pensare che si rendano conto di essere strumenti dell’informazione più controllata. Nondimeno, contribuiscono in modo efficace alla manipolazione della verità. È altrettanto arduo sostenere che questa strategia sia stata studiata e imposta sistematicamente da parte di chissà quali poteri per controllare la massa di cittadini che rivendica i fondamentali diritti alle libertà civiche e a un’informazione corretta. Probabilmente (ma siamo nel campo delle ipotesi) una comunicazione oramai quasi completamente controllata è andata progressivamente affermandosi fino a diventare totalitaria. L’impostazione pregiudizialmente ‘cospirazionista’ non costituisce una premessa per un’analisi indipendente. Tuttavia, il ricercatore serio prende in considerazione e verifica ogni ipotesi, comprese quelle presumibilmente cospiratorie.
Un discorso sulla comunicazione, che oggi riguarda la giustificazione di guerre assurde, va fatto prendendo in considerazione la grave involuzione dei mezzi di libera informazione. Quindi, è opportuno indagare con attenzione e rigore sulle invasive e incisive limitazioni imposte ai cittadini dalla pandemia e sul controllo dell’informazione che essa ha comportato. Uno studio rigoroso si fonda su un’analisi dinamica, vale a dire che cerca di comprendere in che modo i provvedimenti e la comunicazione resisi necessari per difendersi dalla pandemia abbiano incisivamente trasformato il sistema politico e dell’informazione. Il potere di informare dai ‘governi ai cittadini’ – a causa dello stato di necessità che assumiamo essere stato casuale e non ad arte provocato – s’è fatto più invasivo e sofisticato, mentre nulla s’è fatto per migliorare l’informazione ‘dai cittadini ai governi’. Ancor meno s’è proceduto ad allargare le fonti di informazioni, anzi sono sempre più selezionate. S’è rafforzata l’informazione ‘top-down’ e cancellata di fatto quella ‘bottom-up’, cioè dai cittadini ai governi dell’informazione che sarebbe alla base della democrazia.
Tra l’altro, questi termini appaiono obsoleti e rappresentano un ipotetico e auspicato mondo dell’informazione novecentesco. Piuttosto, visto che non ci sono più divisioni in classi sociali rappresentate da partiti e organizzazioni o rappresentanti legittimati e conosciuti, si parla di informazione ‘inside-out’ (dall’interno di istituzioni arroccate) e informazione ‘outside-in’ vale a dire da chi vuole incidere collettivamente sulle decisioni. Ne hanno parlato tra gli altri John Hagel e John Seely Brown. In un mondo sempre più complesso e con conoscenze settorializzate, non si riesce a conoscere alcuna verità e, senza la verità, persino seguire una qualsiasi etica diventa problematico. L’informazione è solo dal dentro al fuori, mentre la torre eburnea in cui si sono raccolti coloro che la propagano è impermeabile a chi cerca di inviare messaggi. Non dimentichiamo che, senza informazione, anche chi sta ‘dentro’ le cittadelle del potere, diventa sempre più cieco e stupido.
Sono state ulteriormente ridotte le istituzioni più solide e legittime che permettevano ai cittadini di fare sentire la propria voce in modo efficace. Si è imparato, sviluppando e applicando tecniche comunicative sempre più efficaci ed elaborate, a frammentare le informazioni moltiplicandole a dismisura al fine di dare rilevanza solo a quelle opportunamente selezionate da chi è in grado di farlo. Io stesso ho giudicato necessaria questa operazione al tempo dell’emergenza pandemica. A differenza di altri, più incoscienti, dal primo momento ho denunciato il pericolo che, una volta applicate queste tecniche e costruite le strutture che le applicano, sarebbe stato difficile tornare indietro. Altri che l’avevano capito come me, ne hanno invece approfittato. Le opinioni contrarie – in una condizione di apparente tolleranza dell’opposizione e di assoluta libertà di informazione – sono state e sono tuttora lasciate circolare al solo fine di rinforzare i messaggi più forti, banalizzando, se non proprio irridendo, le voci fuori dal coro che si intendono contrastare. Se il ritornare a un’informazione più trasparente e libera sarebbe stato comunque difficile, la guerra in Ucraina e ora in Palestina stanno rendendo impossibile il ritorno a un’informazione e a una politica trasparente alleggerita dei pregiudizi o con i pochi inevitabili chiaramente dichiarati. Riusciremo a uscire dal gorgo che ci sta risucchiando?