Cucinare con la cultura: L’equivoco di grandi auditori, ospedali, stadi
“Con la cultura non si mangia!” sbottò qualche anno fa l’allora ministro Tremonti. Questa improvvida frase viene ancor oggi ripetuta e considerata scandalosa in un Paese ricco di tesori d’arte come il nostro. Ma la replica è ancora più sciocca. Si risponde infatti : “Invece no! Con la cultura si mangia e tanto!” Così che non ci si accorge di porsi allo stesso livello e di non comprendere nulla del ruolo che la cultura dovrebbe avere nella crescita morale ed economica di un paese. Non c’è dubbio che una migliore promozione del patrimonio culturale possa giovare molto alla nostra stanca economia. Ma la politica e l’economia della cultura non c’entrano nulla con il marketing degli eventi, delle opere d’arte e delle città storiche. Bisogna accettare invece il principio che davvero con la cultura non si mangia: piuttosto con la cultura “si cucina”. Così che in un prossimo futuro si potranno mangiare elaborati arrosti anziché accontentarsi del solito panino, ma con più mortadella. Un investimento in cultura presume l’apertura a chi non fa parte di sistemi di relazioni e di pensieri sedimentati. Si dovrebbero sempre preferire i forestieri e i “diversi” perché potenzialmente innovatori e meno legati al potere. Investire in cultura non significa quindi mettere soldi in nuovi edifici per l’istruzione o in supporti didattici lasciando immutata l’organizzazione, le persone e i contenuti. Tanto meno costruire MEGA-AUDITORI per fare suonare le star internazionali senza preoccuparsi di insegnare e di praticare la musica quotidianamente. Oppure gli ospdeali: si stanno costruendo nuovi ospedali in mezzo alla campagna, lontani da tutto per sostituire piccole strutture urbane. L’architettura di questi edifici evoca una fabbrica per aggiustare replicanti senza un cenno alla cultura della salute e dell’igiene. La mancanza di cultura la si nota anche nei particolari più elementari che dimostrano come, persino l’eccellente sanità veneta sia terzo mondo quanto a sensibilità organizzativa. Saranno buone le cure, ma tutto il resto è approssimativo e sciatto: nel nuovissimo edificio le indicazioni sono approssimative, le auto (persino quelle dell’USL) parcheggiate disordinatamente sui marciapiedi, il personale gentile, ma impreparato nelle relazioni, la guardia medica brava, ma inaccessibile. Rispetto alle centinaia di milioni spesi per la struttura, quanto si è investito nella “cultura” dell’organizzazione, delle relazioni umane, della formazione? Nulla, anzi sono stati persino eliminati alcuni servizi di accoglienza del pronto soccorso che riducevano l’ovvia ansia degli utenti che vi si recavano. In questo tipo di cultura non si investe condannandosi a rimanere una società chiusa, brontolona ed esposta al malaffare. (da un mio vecchio editoriale sul Corriere)