25 APRILE: liberazione o rivoluzione?
Il 25 Aprile di quasi ottant’anni fa nacque una nuova Italia e la si fondò sulla pace e i negoziati. Sulle rinunce ai massimalismi rivoluzionari comunisti da parte di Togliatti. Sull’accettazione della presenza di un grande partito comunista nelle istituzioni da parte di De Gasperi. L’alternativa sarebbe stata la continuazione di una lunga guerra civile come in Palestina, in Ucraina e in troppe altre parti del mondo.
Invece che studiare la storia delle guerre combattute, impariamo da quella molto più gloriosa delle guerre evitate. La Festa della Liberazione sia una celebrazione della pace e della nascita di un mondo nuovo. La nuova Repubblica sopravvisse e prosperò perché capace di rappresentare tutti nelle istituzioni parlamentari e non solo i vincitori che si astennero dal perseguitare i vinti.
Da trent’anni, la celebrazione del 25 Aprile è diventata sempre più divisiva. Non c’è da sorprendersene né da scandalizzarsi. Ci si deve sforzare di capire il perché.
Allora, si decise di chiamarla Festa della Liberazione dal fascismo. In effetti, molti avevano combattuto per qualcosa di più. La liberazione includeva la fondazione di uno Stato nuovo che per una parte consistente dei combattenti partigiani significava una repubblica popolare comunista. La liberazione riprendeva il discorso rivoluzionario interrotto nel 1922. La vittoria militare dell’Unione Sovietica sembrava aprire a questa possibilità. Gran parte dei partigiani cantavano la versione italiana del motivo russo di Katiusha (“Fischia il vento… il Sole dell’avvenire”), Bandiera Rossa, l’Internazionale. Anche Bella Ciao, diventata poi più inclusiva.
I leader dei due maggiori partiti di allora (Democrazia Cristiana e Partito Comunista) perseguirono una politica di riappacificazione e moderazione inserita anche nel quadro geopolitico internazionale. La qualcosa non impedì la formazione di un nuovo Stato repubblicano unitario. Gaetano Salvemini rinunciò alle proprie convinzioni federaliste per timore della disgregazione dell’Italia con un Nord comunista e un Sud monarchico. In quegli anni, il comunismo come alternativa sistemica al capitalismo raccoglieva consensi maggioritari o quasi.
Sollevare polemiche stantie e tranquillizzanti serve solo a impedire di vedere una realtà oscena su cui destra e sinistra concordano. Maggioranza e opposizione di oggi sono entrambe conservatrici pur usando un linguaggio diverso e accapigliandosi su fatti poco significativi.
In tutti i Paesi sedicenti democratici e occidentali si applica lo stesso schema e l’Italia s’è da tempo adeguata. Il bipartitismo consiste nello sconfiggere un avversario interno su argomenti secondari per lasciare comandare in tranquillità militari e grandi finanzieri che sempre più dettano l’agenda.
Una discussione seria andrebbe affrontata sulle riforme istituzionali e sulle leggi elettorali. Ma per prendere voti sono meglio le polemiche spicciole.
Se vogliamo celebrare il 25 aprile troviamo argomenti validi e schieriamoci a favore dei negoziati per la pace in Ucraina. Sosteniamo la lotta di liberazione palestinese. Rinunciamo a imporre il nostro modello sociale (che poi sono i nostri affari) a tutto il mondo. Oppure non facciamolo e dichiariamo di credere nell’egemonia militare occidentale e nelle guerre della NATO al seguito degli Stati Uniti… perché no? Purché con coerenza e non imbrogliando le carte! Ma non facendoci credere che le guerre e le armi non tolgono risorse alla sanità, all’ambiente, al contrasto della povertà, alla ricerca e alla cultura.
Non è la libertà “di” stampa e di espressione oggi in pericolo, ma la libertà “dai” media di proprietà di corporazioni che costituiscono un complesso militare, industriale, mediatico e tecnologico. Questa oligarchia oggi prevale su ogni forma di sostanziale libertà e democrazia.
L’oligarchia controlla i governi. Non è governata dai governi. Non è nemmeno in grado di governare perché divisa e priva della coscienza di sé come lo era la vecchia borghesia.
Il 25 aprile di quest’anno sia l’occasione per parlare di pace e di rifondazione della convivenza civile. Ottant’anni fa, fu fondato un nuovo Stato che oggi è chiaramente molto invecchiato. Le proposte e le pratiche di riforma che circolano (ancor prima di questo governo) inducono a pensare che si privilegerà l’opzione autoritaria a scapito di quella rappresentativa affermatasi con la Costituzione.