La controversa inchiesta di “Reporters sans frontières” (RSF)
Per parlare seriamente di libertà di informazione non basta dare risposte ovvie e scontate. Prima di tutto è necessario sollevare nel modo giusto le giuste domande. Da questo punto di vista il rapporto annuale di RSF – da cui è tratta la cartina riportata qui e da tutti i grandi media con enfasi e senza alcuna critica – appare alquanto controverso sebbene a esso sia attribuito implicitamente il crisma dell’imparzialità e della scientificità.
Nonostante l’ampia ricerca, i risultati sottolineano quel che già si sapeva. La cartina, riportata su tutti i media del sedicente mondo libero’, dimostrerebbe che nei Paesi occidentali ci sarebbe libertà di informazione. In tutti gli altri di meno o affatto.
Lo sapevamo! Ma cosa sapevamo? Sapevamo quello che RSF ha chiesto, non quello che non ha nemmeno immaginato di chiedere o su cui ha addirittura evitato di interrogarsi.
La ricerca definisce la libertà di stampa (meglio sarebbe dire di informazione) come “la capacità dei giornalisti sia come individui sia come gruppi di selezionare, produrre e diffondere notizie di pubblico interesse nell’interesse pubblico in modo indipendente da interferenze politiche, economiche, legali e sociali, e in assenza da minacce per la sicurezza mentale e fisica dei giornalisti”. Non c’è bisogno di una ricerca per stabilire che nei Paesi occidentali questa libertà è legalmente e apparentemente garantita mentre in altri Paesi lo è molto meno secondo i criteri scelti.
Se viene fatta passare (anche per mezzo di questa ricerca) l’idea che l’informazione è libera, i cittadini saranno propensi a credere a quel che i media maggiori e i loro giornalisti diffondono. Sapendo che è controllata, i cittadini, al contrario, saranno più scettici e cercheranno diverse fonti di informazione. E allora dov’è la libertà? Questo rapporto annuale è redatto da chi fa parte di un sistema che si autocongratula e che gestisce l’informazione sollevando domande che contengono già le risposte cercate.
Il problema della libertà di informazione in occidente oggi non sta tanto in quello che puoi dire o non dire, ma come sono tutelati i cittadini da un’informazione erroneamente considerata libera (come emergerebbe dalla ricerca di RSF) ma sempre più concentrata in poche mani e in gruppi editoriali di proprietà di grandi gruppi finanziari, industriali, mediatici, influenti su parlamenti e governi.
Quindi il problema non sta nella libertà di ciascuno di esprimersi come vuole, ma nella selezione e correttezza delle notizie diffuse dai media più potenti: non c’è libertà di stampa se le grandi reti mediatiche all’unisono danno un’informazione che poi si rivela falsa perché la notizia non è stata accuratamente (o volutamente) verificata. Ma questo non è stato rilevato da RSF che ha intervistato prevalentemente i reporter occupati dai grandi media.
In definitiva, RSF ha affrontato il problema della libertà di informazione secondo criteri di oltre un secolo fa, ma poco significativi nella condizione attuale. La ricerca, forse persino inconsciamente (a volere pensare bene), ha avuto l’obiettivo di congratularsi con i governi occidentali e gettare fango su tutti gli altri.
E qui interviene la questione dell’imparzialità e dell’attendibilità di RSF che ha un budget annuale di ben 6,1 milioni di euro che provengono per oltre la metà dai governi in cui risulta che ci sia maggiore libertà di stampa. Il resto proviene da gruppi privati, sponsorizzazioni e attività commerciali con la collaborazione di grandi compagnie quali American Express, Ford Foundation, Societé Générale e e Swedish International Development Cooperation Agency che hanno partecipazioni di rilievo nei media.
RSF riceve persino fondi dalla NED (National Endwowment for Democracy), discusso braccio operativo del governo americano che opera all’estero per promuovere la democrazia con i discutibili metodi che abbiamo visto all’opera in questi decenni. Nonostante RSF sia accreditata dalle Nazioni Unite, i sette membri che facevano parte del panel dei revisori della ricerca erano tedeschi, americani, francesi, sudafricani e britannici.