Violenze di gruppo

Una replica a Stefano Allievi

Caro Stefano, scrivi sul Corriere del Veneto che ti “piacerebbe sentire il punto di vista maschile, e giovanile, sui casi di presunto stupro di gruppo di cui si parla in questi giorni. Quello che ha coinvolto il figlio di Beppe Grillo, e quello dei giovani calciatori veronesi”. E io ti accontento avendo studiato in passato le questioni di genere con un certo approfondimento.

Penso che sia necessario un punto di vista sociale e universale e non maschile o femminile. Comunque, in parte mi sforzo di dare quello maschile… per quello giovanile è passato il tempo. Anche se certi comportamenti istintuali non cambiano nel giro di una generazione, ma di migliaia e migliaia di anni, ma sono sempre stati tenuti sotto controllo dalla società in un modo o nell’altro. Quanto alla “difesa culturale” del consenso mi pare un concetto superato: nessuno pensa più che stuprare una donna sia manifestazione di mascolinità né che dia all’uomo alcun prestigio sociale. Il contrario piuttosto. Se succede, si tratta di casi isolati che vanno trattati come tali e non come fenomeni sociali radicati nella cultura prevalente com’è in un antico luogo comune continuamente ripetuto. La magistratura definirà, nella fattispecie in questione, cosa è successo, ma questo articolo parte già dal presupposto che i ragazzi siano colpevoli e che il consenso non sia stato esplicito perché esiste la logica del branco e tutti gli altri luoghi comuni, la cultura del porno ecc. 

“Possibile che su comportamenti così seri non venga previsto almeno un accordo verbale”? ti chiedi: lo stabilirà la magistratura! Ma nel tuo articolo, sei già arrivato alla conclusione! 

Ma la questione che più mi preme sottolineare riguarda la scarsa considerazione che si attribuisce alla volontà delle donne in queste circostanze. Questo considerarle sempre e solo succubi dei maschi, le offende profondamente. Una donna può decidere molte cose anche sul sesso. Può decidere di partecipare a un’orgia e magari organizzarla. Può decidere di ubriacarsi e perdere il controllo. Può anche abusare di un’atmosfera culturale (questa sì) che porta a colpevolizzare sempre e soltanto i maschi. Alla TV ho sentito ripetere costantemente che alle donne che accusano i maschi di averle violentate “si deve credere”! Ormai è diventato un luogo comune. Perché si deve credere? Perché è una vergogna essere violentate? Certo che lo si vive come un trauma. Anche i maschi possono capirlo se si mettono nei panni (anche peggiori) di chi è stato violentato da omosessuali o più raramente da donne. Con una differenza: che “culturalmente” oggi una donna denuncia e ha la possibilità di farlo presso un’altra donna poliziotta; un uomo se ne vergogna molto di più ed è costretto a denunciare il fatto a un maresciallo che verosimilmente percepisce come omofobo o che lo irride se gli dice che ha subito violenza dalle donne. E si può pensare che maschi violentati da femmine – in vari modi anche solo psicologicamente – non denuncino la violenza per due motivi: perché socialmente umiliante e perché non esiste un discorso che prenda in considerazione questa possibilità che oggi si verifica molto più spesso di quanto non appaia… perché non è una notizia e non segue il luogo comune.

In questo contesto, non si può più sottovalutare la possibilità che le donne abusino dell’atmosfera culturale che si è creata a proprio vantaggio. Sono molti ormai i casi di false denunce provate e ritrattate da parte di donne che avevano falsamente dichiarato di essere state violentate per interesse, per vendetta o anche solo per esibizionismo. Essendo giustamente diminuita la reticenza a denunciare ed essendosi altrettanto giustamente diffusa la possibilità delle donne di denunciare in un contesto sicuro e addirittura incoraggiante, non si può che prendere in considerazione che possano anche essere aumentati gli abusi di denunce false. È un problema e nel modo più assoluto non va contro il principio che si debbano incoraggiare le donne che subiscono violenza a denunciare gli abusi.

Una cittadina onesta che subisce violenza deve sapere che essa va provata e se questo non è possibile, non può eticamente accettare che una persona sia condannata solo sulla base di una denuncia perché “alle donne si deve sempre credere”! La giustizia non si può basare sulla delazione senza prove.

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