LA MORTE E GLI ANIMALI

Eros e Thanatos: prefazione ai miei allegri racconti sull’amica morte

Mia nonna era una donna che certamente aveva un erotismo molto sviluppato. L’ho capito, molti anni dopo la sua prematura morte, riflettendo sulla sua passione per la boxe di cui non perdeva un match alla televisione: le piacevano i maschi nudi e le loro movenze aggressive. L’ho capito anche da altri piccoli dettagli che ricorrono nella mia memoria. Il sesso l’ha sicuramente anche praticato avendo partorito due volte. Eppure, non l’ho mai sentita fare un riferimento, anche vago, all’esistenza di un organo sessuale, di un desiderio, di una pratica o alla concretezza di questa componente essenziale dell’esistenza. Forse il senso stesso della vita. Ai suoi tempi parlare di sesso era vietato tra persone per bene, a maggior ragione tra donne di una certa levatura sociale. Tra maschi e donne del popolo se ne parlava di più, ma in modo sempre reticente, volgare o allusivo. Oggi, si può fare praticamente tutto e parlarne alla luce del Sole senza remore. La morale sessuale di un toro dell’antica Grecia non è dissimile a quella di un toro contemporaneo. Nel frattempo, quella degli umani è cambiata più volte e varia continuamente da luogo a luogo. Ma i tabù sono la vera essenza di noi umani; ne abbiamo bisogno quanto del cibo e dell’acqua. E allora, cancellato l’ormai insignificante tabù del sesso, ne abbiamo costruito un altro: la morte. Che non è poi sostanzialmente diversa dal sesso. Entrambi riguardano il desiderio, il tempo e la trasformazione cosmica e inarrestabile di noi stessi. Prima i bambini li portava la cicogna e il nonno moriva: come il cane, il maiale e la gallina a cui si tirava il collo in cucina o la lepre con gli occhi strabuzzati catturata dai cacciatori e scuoiata sul tavolo di marmo davanti a tutti. Oggi: “il fratellino è nella pancia della mamma che ce l’ha messo il papà” e il nonno è “partito per un viaggio”. 

In questi miei racconti, tratterò spesso e senza inibizioni della morte e niente di sesso. Sfidare i tabù è un’abitudine inveterata degli scrittori, di fatto una missione essenziale in un’umanità che ha bisogno di cambiare continuamente.

In questi racconti parlerò spesso della morte in tutti i modi: in termini cupi e con ironia, con tristezza e con religiosità, con disperazione e speranza, ma sempre in modo leggero. C’è una ragione per cui non dovrei descrivere qualcosa che a tutti succederà prima o poi? Forse anche a me e ai miei lettori? Abbiamo paura della morte e pochi scelgono di morire come vogliono. I più vivono da immortali e lottano contro un destino inesorabile. Si teme la morte come qualcosa di arcano e difficile da affrontare. Non teniamo conto del fatto che tutti saremo capaci di morire e non c’è nessuno che non ci sia riuscito. Si spera in una bella morte, serena e non dolorosa. Ci si può preparare psicologicamente, ma non si sa se ne vale la pena. Si possono organizzare le cose affinché le ultime ore siano piene di conforto, ma siamo sicuri che il conforto e l’amore di chi ci sta vicino è proprio quel che ci serve? Non sarebbe meglio morire pensando che proprio non ne possiamo più di questo mondo infame, di queste persone meschine o che semplicemente non abbiamo più niente da fare? Chissà? Ma ritornare a parlare della morte apertamente oggi significa rompere un tabù e quindi mi appresto, sebbene nei miei racconti la morte s’intreccia con la vita e non sempre fa la parte della protagonista. Non tutti i racconti parlano della morte, solo alcuni, ma in questi la si tratta in modo ironico, drammatico e soprattutto aperto e tranquillo. Non irriderò alla morte e la rispetterò senza temerla conscio che il mio inesorabile destino non dipenderà da come la tratterò in questi inutili scritti.

Il tema della morte ingloba il rapporto tra viventi umani e non umani. C’è un perché? Penso di sì, ma lascio il compito al lettore di trovarlo. Non è nemmeno così difficile. 

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