Rientrato all’aeroporto di Venezia dopo un soggiorno all’estero non posso fare a meno di notare alcuni tipici comportamenti di noi italiani.
Da una parte mi suscitano un sorriso, non potendomene considerare immune, dall’altra inducono a qualche amara considerazione. Da alcune piccole cose emerge un senso di insicurezza che ci pervade e al quale da tempo non reagiamo.
Già al ritiro bagagli percepisco (e condivido) una condizione di ansia. I viaggiatori si aspettano che la loro valigia non apparirà mai sul nastro così che quando la vedono ne restano piacevolmente sorpresi e festeggiano l’evento considerandolo eccezionale.
Arrivato all’ascensore, premo il bottone per scendere e si accende regolarmente la luce che indica la chiamata. Eppure, ogni altra persona che arriva schiaccia ogni pulsante visibile e lo fa energicamente più volte: non solo quello in discesa, dove deve andare, ma (non si sa mai) anche quello in salita. Appena arriva, tutti entrano nella prima porta che si apre senza curarsi se l’ascensore stia salendo o scendendo: l’importante è prendere un posto che si teme di perdere.
Se poi si va a comprare qualcosa, ovunque la domanda rituale e angosciosa è: “ha moneta?”, una richiesta sconosciuta all’estero dove si presume che la quantità di monete resti grosso modo in equilibrio. Ma da noi incombe il retaggio degli anni settanta quando la moneta sparì e tutti ne facevano incetta. I clienti italiani, con la consueta gentilezza, collaborano con i gestori impelagandosi in astrusi calcoli per favorire la riduzione delle monete necessarie a completare la transazione.Gli stranieri non capiscono e pensano che si tratti di un utile esercizio mentale.
Un altro segno di insicurezza lo registro alla fermata dell’autobus. Sebbene siamo in quindici ad aspettare, sia chiaramente scritto “fermata”, e senza ombra di dubbio l’autista dell’autobus non passa di lì per caso … al vedere approssimarsi l’autobus tutti alziamo la mano, pervasi dall’atavico timore che tiri dritto!
Si potrebbero aggiungere altri esempi, ma con le mie osservazioni intendo sottolineare una situazione di disagio e sconforto che dalle piccole cose si trasferisce alle grandi.
Fino a una ventina d’anni fa l’atmosfera era diversa: il modello degli italiani, soprattutto dei veneti, erano paesi, forse un poco mitizzati, come l’Austria, dove si immaginava che tutto funzionasse alla perfezione. Rispetto a oggi si aveva la convinzione di non essere da meno e di potere presto colmare il gap.
Impegnato com’ero nella ricerca economica e sociale, mi rendevo conto dei progressi nel gusto, nell’ordine e persino nei modi di fare sempre più civili e urbani di coloro che offrivano servizi.
Questo progresso s’è interrotto e con esso la fiducia di vivere in un mondo affidabile e sicuro dove ci si aspetta che le cose funzionino a dovere. La sensazione di sicurezza sta alla base della fiducia e la fiducia è la radice dello sviluppo.