Guardando la serie televisiva ‘The Undeclared War’ tornano a mente le parole di Göring, l’abile responsabile della comunicazione nazista: “Il popolo non vuole la guerra: Basta dirgli che sta per essere attaccato e accusare i pacifisti di essere privi di spirito patriottico e di voler esporre il proprio paese al pericolo. Funziona sempre, in qualsiasi paese”.
La serie televisiva britannica ‘The Undeclared War’, si ispira perfettamente al suggerimento di Göring. Uscita nel 2022 e diffusa dalle TV di tutto il mondo, si svolge nel 2024, ma rappresenta una situazione ormai conosciuta e di fatto tratta della contemporaneità.
Si tratta di una di quelle numerose e sistematiche operazioni di propaganda che da molti anni inondano i media e la cinematografia occidentali. Non è la sola, ma ‘The Undeclared War’ ha connotazioni così esplicite al punto di diventare paradossali.
Si imputa, infatti, ai russi (descritti come al solito come tutti corrotti e schiavi di un regime) una serie di azioni di infiltrazione nella politica britannica al fine di destabilizzarla per mezzo di attacchi informatici di vario tipo incluse le elezioni. Si arriva a descrivere come i servizi russi FSB provochino ad arte scontri di piazza a Londra subito diffusi con enfasi dalla televisione russa per creare panico e proteste tra i cittadini britannici, soprattutto gli immigrati e i più poveri.
Per girare la serie, il regista – il noto e molto controverso Kosminsky – ha dichiarato di essersi avvalso della consulenza degli operatori del CGHQ (il centro per la comunicazione governativa britannico) i quali gli hanno spiegato alcuni particolari di come avvengono gli attacchi informatici e la decriptazione dei codici.
Il paradosso sta nel fatto che qualsiasi spettatore dotato di un minimo di senso critico si rende conto che il metodo di infiltrazione imputato nella serie TV ai soli russi è praticato molto più diffusamente, con più risorse e in modo ben più efficace dai servizi segreti americani, britannici e occidentali in genere. Basti osservare come nello stesso film si mostri l’enorme moderno edificio del CGHQ realizzato nel 2002 e chiamato la ‘ciambella’ (doughnut) e sito a Celtenham nel Goucheshire (nella foto).
Nel 2013, il GCHQ fu al centro dell’attenzione dei media quando Edward Snowden rivelò che questa agenzia – che lavora in contatto con l’MI5 – stava raccogliendo dati online e telefonici senza autorizzazione attraverso un programma apposito chiamato Tempora. Snowden, che lavorava per la NSA (la National Security Agency degli Stati Uniti), passò le informazioni sulla ‘sorveglianza globale’ al Guardian. Il giornale fu poi costretto a distruggerle perché minacciato di essere penalmente perseguito per la diffusione di atti segreti.
La prova del modo di operare del CGHQ, della NSA e in genere dei servizi segreti occidentali già la si era avuta con le rivolte delle primavere arabe, in Ucraina (Maidan) e in tutte le parti del mondo. Ma questa serie TV dimostra in modo inequivocabile una più che sospetta – anzi dichiarata, vista la consulenza ricevuta e ammessa – conoscenza dei metodi di infiltrazione nella politica e nell’opinione pubblica di altri Stati. D’altronde le rivelazioni di Manning, Snowden e Assange e la loro persecuzione politica sono conosciute sebbene i media ne parlino appena.
Il bombardamento di informazioni antirusse in preparazione e sostegno della (futura, ma ora quasi in atto) guerra da parte dei media occidentali è talmente intenso e ben organizzato che gli esperti di comunicazione avranno evidentemente calcolato che l’opinione pubblica è ormai talmente strutturata che non c’è pericolo che colga il paradosso.
Molte altre cose si possono imparare da ‘Undeclared War’, una serie TV facile da produrre e piacevole da seguire poiché adotta uno schema standard che si ripete in tutte le serie televisive da cui siamo bombardati. Lo spettatore non deve impegnarsi per comprendere perché succede tutto quello che ci si aspetta, salvo la solita storiella d’amore che lo trattiene agganciato per vedere come va a finire.
L’operazione di manipolazione è ancora più sofisticata nella scelta dei personaggi e degli ambienti. La protagonista è una seria ragazza di famiglia pakistana, musulmana la quale segue la dieta halal e non beve alcolici. Di tanto in tanto però trasgredisce, senza fare drammi, e si beve qualche birra in compagnia. Questo per dimostrare che non è una fanatica e che ha assimilato la flessibilità occidentale, la qualcosa, già che ci siamo, rappresenta da una parte la ricerca di compiacenza da parte del mondo musulmano semi-integrato, dall’altra una dimostrazione di superiorità della cultura occidentale in grado di sgretolare i costumi tradizionali altrui. La protagonista è cresciuta a Londra dove ha frequentato con grande successo un’ottima università specializzandosi nella decodificazione dei programmi. Questo l’ha portata a essere assunta dal CGHQ. Notare come sia ‘donna’, ‘musulmana’, ‘informatica’ e ‘occidentale sia pure con identità composita’. Ma non basta.
L’affianca una ragazza americana che lavora per la NSA (National Security Agency a sua volta in stretto contatto con la CIA). Naturalmente è nera e, giusto per mandare un altro messaggio provocatorio, anche lesbica. La ragazza pakistana, dalla mentalità occidentale aperta, avvia con lei una relazione sessuale nonostante conviva con un ragazzo inglese idealista, pacifista e di sinistra. Cliché occasionali nel mondo reale, ma diffusissimi nei media a fini di propaganda per attaccare le culture che non si uniformano a quella occidentale!
Aggiungiamo che il primo ministro britannico è nero nerissimo e conservatore: tutto è costruito con uno scopo propagandistico di un’evidenza cristallina.
Le due ragazze sono i nostri e sono i ‘buoni’. Le loro case sono belle, moderne e pulite come pure i luoghi di lavoro nonostante secondari stress caratteriali (ma solo personali che non ripetono stereotipi nazionali, eccetto che per i russi) di alcuni personaggi sottolineati solo per tenere alta la tensione dello spettatore.
Gli altri ‘buoni’ sono una coppia di giovani russi contestatori del regime. Anche questi due rappresentano la società russa in modo stereotipato, come se l’aspettano gli occidentali. Lui – molto carino a differenza di tutti i personaggi russi – è figlio di un ricchissimo, ovviamente corrotto, trafficante d’armi (e cos’altro potrebbe fare un russo ricco?) il quale vive in una grande lussuosa villa. È in contrasto con il padre: che sorpresa! Ha studiato a Londra e parla perfettamente inglese. Lei – pure carina – è una contestatrice del regime, madre di una bambina piccola il cui padre è stato ucciso in Ucraina (ma guarda un po’) dove faceva il reporter! Vive in povertà in un piccolissimo disordinato e povero appartamento stentando a sbarcare il lunario e mangiando disgustose zuppe disprezzate dal compagno russo cresciuto in UK. Il loro tradimento a favore dei servizi occidentali viene descritto come un atto di coraggio e di soprattutto di lealtà verso i principi universali della democrazia.
Gli ambienti russi, dove sono girate le scene, ricalcano gli stili architettonici sovietici di un secolo addietro – oggi sono molto diversi, ma quanti degli spettatori sono mai stati in Russia? – e tutti i russi corrispondono allo stesso cliché: biondi, alti, brutti, crudeli, senza scrupoli e si deduce che sono anche alcolizzati. Tra loro non c’è alcun personaggio dai tratti asiatici o turchi che, per chi conosce la Federazione Russa, sa bene che sono molto comuni trattandosi di un Paese multietnico.
Questa operazione di propaganda denuncia il tentativo della Russia di provocare una guerra e induce il pubblico a pensare che rischiamo un attacco dei cattivi. In realtà, dimostra che la guerra la stanno provocando i servizi occidentali proprio per mezzo di questa comunicazione martellante e solidissima perché rinforzata da una comunicazione organica che va nella stessa direzione.
Non possiamo che terminare con le parole di Göring con cui abbiamo iniziato: i media occidentali e ucraini si conformano al suo suggerimento.