In quali casi l’astensione dal voto diventa un’opzione politica? Quando è legittima, utile e coraggiosa?
La democrazia dei Paesi del blocco occidentale è oggi nella condizione di quell’uomo che cade dal cinquantesimo piano di un grattacielo. In un primo momento si spaventa, ma durante la caduta, arrivato al decimo piano, si rassicura pensando che, in fondo, fino a quel momento tutto è andato bene. Un esempio più sofisticato sarebbe la rana di Chomsky.
Alessandro Tessari (ex deputato PCI e Radicale, nonché docente dell’Università di Padova) e la politologa Ester Tanasso dodici anni fa pubblicarono un pamphlet provocatorio. Dato per scontato che si voti con un sistema proporzionale (come per le elezioni del Parlamento Europeo), sostenevano che si dovrebbero assegnare i seggi dei Parlamenti in proporzione al numero dei votanti. Se vota la metà degli aventi diritto, la metà dei seggi rimane vuota.
La provocazione è evidente. Per completarla aggiungo che il Parlamento dovrebbe essere tenuto a deliberare a maggioranza degli aventi diritto, cioè a maggioranza assoluta, calcolata includendo i seggi rimasti vuoti per scelta dei cittadini. Quindi, se vota meno della metà dei cittadini risulta impossibile formare un governo e deliberare. Il numero dei partecipanti al voto diventa la misura della legittimità delle istituzioni (a cominciare correttamente dal processo elettorale).
È evidente che non si tratta di una proposta praticabile non foss’altro che per il rischio autoritario che implica. Ma la provocazione è utile per spiegare quando il non-voto diventa un atto politico legittimo e utile. Infatti, nel momento in cui la partecipazione al voto dei cittadini è ridotta, le istituzioni dimostrano di non godere del consenso popolare. Poiché in democrazia la legittimità delle istituzioni si fonda sul consenso popolare, se in pochi votano, le istituzioni non si possono più considerare pienamente rappresentative. La legittimità di esse si affievolisce e soprattutto la si misura, perdendo quella sacralità che prescinde dall’imperfezioni dei processi politici. La violazione di norme emanate da istituzioni la cui legittimità è discutibile attenua le colpe di chi le trasgredisce.
Se questa non è ancora completamente la situazione corrente, di sicuro ci siamo prossimi e stiamo agendo perché presto si realizzi. Le sempre più numerose manifestazioni di piazza, spesso corporative, altre volte popolari, dimostrano il grave indebolimento delle istituzioni democratiche e la cancellazione dei “corpi intermedi”.
Il non-voto di protesta e un movimento popolare che lo sostiene potrebbero ancora, in modo democratico e populista (ma non demagogico) arginare la deriva autoritaria e oligarchica in cui stiamo piombando.
Con il non-voto il cittadino esprime con dignità: (a) l’esigenza di cambiare una situazione degradata; (b) un atteggiamento etico in cui dichiara che le decisioni di istituzioni corrotte non saranno assunte in suo nome.
Non a caso nella Costituzione fu scritto che votare era un dovere e non solo un diritto. Il voto è ancora obbligatorio in alcuni Paesi, quali l’Australia, il Brasile, il Belgio e il Lussemburgo. Le persone della mia generazione e formazione attribuiscono sacralità al voto e lo considerano ancora un dovere. I giovani votano in numero decisamente minore senza alcun complesso di colpa anche perché la norma che sanzionava chi non si presentava alle urne non è più applicata da circa quarant’anni. Ma ci dobbiamo liberare del senso di colpa che ci prende se non ci rechiamo alle urne. Con queste leggi elettorali, con l’assenza dei partiti e con l’affermazione di un’oligarchia, votare serve solo a rinforzare un sistema che invece va contestato e cambiato. In fondo negli anni Settanta non c’erano già i “gruppi extraparlamentari”? Forse allora era sbagliato e prematuro, ma potrebbe essere giunto il momento… Altrimenti, qual’è l’alternativa?
Nel classico schema di Exit, Voice and Loyalty, la protesta (voice) sta nel votare partiti minori e antisistema; l’uscita (exit) sta per l’appunto nel non votare, mentre la ritrosia a disertare le urne (loyalty) è determinata dal radicamento dell’idea che il voto equivalga alla democrazia, che non ci siano alternative e che l’astensione rappresenti solo uno sfregio (hybris) inaccettabile alle istituzioni. Ci sarebbero molti buoni argomenti da sviluppare… ma non è quello che sentiamo nelle campagne elettorali.
P.S: Alla fine forse voterò e, se non dovessi farlo, sarò gravato da sensi di colpa. Ma io ho settantaquattro anni e mi sono sempre occupato di politica. Sono nato, cresciuto e ho vissuto in un periodo storico in cui le istituzioni hanno funzionato discretamente ed erano percepite in un’aura di sacralità. Potrei cambiare idea razionalmente, ma mi sentirei comunque a disagio e in dubbio.