Il nuovo Presidente della Repubblica

Tra sesso, sessismo e genere

Il Presidente della Repubblica, figura di garanzia per eccellenza nella nostra Costituzione, non sarà scelto dal popolo e non ci sarà una campagna elettorale. Ancor più del Capo del governo, che richiede il consenso dei cittadini, sarà scelto nelle segrete stanze da pochi iniziati. Di conseguenza, parlarne è un esercizio utile nel porre questioni, ma inefficace negli esiti. È giusto che sia così.

Si parla di una donna presidente. Distinguiamo: una donna o una femmina? Perché di femmine in politica ce ne sono alcune, ma sono rare donne e uomini che si sforzano di introdurre un comportamento alternativo nella politica che non riproponga il tipo del maschio alfa. 

La questione della disparità di genere (che poi si riduce al solo sesso poiché i comportamenti di gran parte delle donne in politica ricalcano quelli degli uomini e talora li accentuano) posta in modo esplicito, ripete un vecchio comportamento sostituibile con una convivenza civile e politica integrata dall’apporto di una cultura femminile fatta propria da donne e uomini.

Senza dubbio una PdR femmina sarebbe un fatto simbolico importante. Ma non più di un monumento ai caduti di una battaglia vinta mentre una guerra è ancora in corso. 

Sarebbe ben più utile avere una donna (eventualmente anche femmina) primo ministro, la quale deve guadagnarsi il consenso elettorale.

Ormai è una cosa abbastanza comune avere donne in posizioni di leader dalle sindache (Roma, Barcellona, Parigi, Torinoe altre grandi metropoli) alla Lagarde, da Von der Leyen a Merkel. Poi ci sono rettrici di università, direttrici di importanti centri sanitari, scienziate, magistrate ecc. Il cambiamento sta avvenendo sempre più rapidamente per un fatto generazionale.

Se ci si concentra sul solo sesso prescindendo dal giudizio politico, non si sarà fatto alcun passo avanti tranne ripetere una simbologia il cui bisogno lo sentono solo gli anziani e le anziane.

Merkel, con sobrietà e stile (ma anche Arden con meno sobrietà e in un piccolo Paese), ha proposto una politica diversa e femminile. A guardare bene l’hanno fatto anche alcuni maschi. Altre femmine quali Clinton, Thatcher, May, Kamala ecc., per non parlare di alcune nostre rappresentanti, non hanno inciso affatto sul genere della politica.

Tornando all’Italia, ci sono pochissime femmine e donne che rispondono ai requisiti che deve avere un Presidente della Repubblica. Prima di tutto perché il Presidente deve essere anziano: non sono solo i 50 anni del dettato costituzionale, ma il fatto che, oltre all’esperienza, è opportuno evitare che, terminato il mandato ritorni a fare politica attiva.

Non sono molte le donne italiane che hanno queste caratteristiche, almeno per ora: servono persone oltre i 70-75 anni con esperienza di parlamento, governo o di alte responsabilità istituzionali. Donne ce ne sono poche poiché scontiamo il passato e non possiamo cambiare l’anagrafe.

Inoltre, i candidati a PdR devono avere fatto una carriera politica in cui hanno dimostrato sufficiente autonomia dagli schieramenti politici o si sono rifatti una verginità politica detenendo alte cariche istituzionali. Tra sette anni, e ancor più tra quattordici, le candidate saranno più numerose. 

Al momento si possono proporre solo persone eccellenti di sesso femminile, ma senza un curriculum, una condizione fisica e una collocazione politica adeguata. Si trattasse di nominare il capo del governo, il problema sarebbe molto più semplice e le candidate sarebbero più numerose e più giovani. 

I nomi più ricorrenti e adeguati al ruolo sono Bonino, Bindi e Alberti-Casellati. E Cartabia che però è ancora troppo giovane e sconosciuta ai più per la carica. Poi ci potrebbero essere Moratti, Binetti, Finocchiaro e via dicendo, ma spendibili (come candidate) sono per il sesso. 

Il centrodestra ambisce legittimamente a esprimere un proprio candidato per replicare quella normale alternanza tra laici e cattolici che aveva caratterizzato la prima repubblica. 

Bindi parte svantaggiata per questo e per le posizioni intransigenti e di parte assunte in passato senza avere avuto la possibilità di rigenerarsi in una carica istituzionale super partes. Bonino ha problemi di salute e, pur nella sua indipendenza, stenterebbe a ottenere una maggioranza parlamentare. 

Rimane Alberti Casellati che fa parte di un quadro più realistico per collocazione politica, per esperienza (parlamentare, governo, CSM), e per essere una giurista accademica. Sebbene sia stata estremamente e talora esageratamente legata a Berlusconi (la cui candidatura oggi sbandierata potrebbe aprirle strada), i cinque anni di presidenza del Senato e il suo ruolo di seconda carica dello Stato l’hanno purificata almeno in parte. Alberti-Casellati, tuttavia, incontra serie opposizioni per il suo pregresso politico e per qualche scandalo minore in cui è incorsa.

La proposta di una femmina al Colle nasconde tra l’altro anche il tentativo di evitare che Draghi lasci il governo.

Per questi motivi porre la questione di genere e di sesso nella scelta del Presidente della Repubblica è uno specchietto per le allodole per altre trame. Non facciamoci sviare. 

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