Memoria o perdono?

Il male che cova in noi!

Il 27 gennaio 1945, il multietnico e multinazionale esercito sovietico entrò nel campo di sterminio di Auschwitz. Liberò i sopravvissuti e fece prigionieri nazisti e collaborazionisti. La data è stata scelta dalle Nazioni Unite come annuale Giornata della Memoria per ricordare quello che dalla fine degli anni Cinquanta del ‘900 fu definito Olocausto. Le vittime furono per circa la metà ebrei e nella giornata si ricordano anche tutte le altre vittime dei campi di sterminio nazisti, quali Rom, resistenti, omosessuali, comunisti, disabili, slavi non collaborazionisti ecc. L’Olocausto si riferisce a tutti coloro che subirono la barbarie nazista.

I media stanno già preparando la commemorazione e l’enfasi sarà posta, ancora più del solito, sulla sola Shoah ebraica anziché sulla persecuzione di tutti gli internati. Come ogni anno sventoleranno in abbondanza le bandiere israeliane sollevando inopportune polemiche. La giornata sarà anche utilizzata per ricordare la fondazione di Israele in Palestina. Sarà occasione per ribadire il diritto di Israele a difendersi. È verosimile che quest’anno gli acritici sostenitori di Israele tenteranno di strumentalizzare la “Giornata della Memoria” per giustificare le violazioni dei diritti umani a Gaza e nei territori illegalmente occupati. I primi cenni di questa propaganda già appaiono sui maggiori media.

Oltre al massacro in corso a Gaza, anche nei territori occupati quotidianamente sono assassinati resistenti e demolite, come punizione collettiva, le case dove abitano i loro famigliari. In questi territori occupati illegalmente i coloni israeliani sono stati autorizzati a portare armi che usano contro i palestinesi disarmati. In più sono protetti dall’armatissimo esercito israeliano di occupazione. Il paragone con il nazismo non può passare inosservato e su questo si dovrebbe concentrare la “Giornata della memoria” di quest’anno.

No alle strumentalizzazioni

Il 27 gennaio si commemori dunque la barbarie di tutte le vittime dell’Olocausto nazi-fascista senza distinguere tra razze, etnie e culture politiche. Non sarebbe per nulla opportuno usare pretestuosamente questa commemorazione per fare una vittimistica propaganda a favore di Israele nel momento in cui è sotto processo per genocidio. I morti di quasi un secolo fa vanno rispettati, non usati! Tanto più che non solo i sopravvissuti alle deportazioni naziste sono quasi tutti morti per cause naturali, ma sono morti anche buona parte dei loro figli e i loro nipoti sono ormai persone adulte e anziane.

A proposito di strumentalizzazioni: chi si è accorto della “Giornata internazionale per la commemorazione delle vittime di crimini di genocidio e per la prevenzione di questo crimine” che si celebra il 9 dicembre? Pochi, e quest’anno ancora di meno! L’Olocausto è stato monopolizzato dalle associazioni sostenute dal governo israeliano e da numerose (non tutte) comunità israelitiche così come Norman Finkelstein (tra gli altri) ha messo in evidenza in un controverso, ma documentato, saggio (The Holocaust Industry).

I media stanno preparando l’opinione pubblica a trasformare la Giornata della Memoria dell’Olocausto in una commemorazione circoscritta alla Shoah e in una manifestazione a sostegno delle guerre e delle repressioni di Israele. Lo stato ebraico al momento è sotto processo per genocidio e non sarebbe per nulla opportuno usare pretestuosamente questa pur sacrosanta commemorazione per cercare di giustificare l’ingiustificabile.


Chi deve ricordare?

Le giornate della memoria possono essere pericolose se non se ne coglie il senso profondo e attuale. Vanno spiegate con spirito critico e le celebrazioni impostate con cautela e sensibilità. Anzitutto, la memoria del male è un dovere per chi l’ha individualmente o collettivamente perpetrato. Dimostra il pentimento sincero. Se sono le vittime a ricordare “agli altri” le ingiustizie subite, nel migliore dei casi si corre il rischio di trasformare la memoria in un vittimismo strumentale, in una gara a chi è più vittima. Nel peggiore dei casi la memoria è occasione di risentimento e rancore se non persino vendetta.

Nelson Mandela uscendo dopo trent’anni dalla prigione disse: “Se avessi portato fuori con me l’odio e il risentimento, non sarei mai uscito da quella prigione”. Se la memoria si confonde anche solo un poco con il risentimento sovverte il senso delle celebrazioni. Se c’è questo pericolo, un temporaneo oblio del passato giova più di un rancoroso ricordo.

La memoria aiuta chi ha perpetrato il male a chiedere perdono per la sua colpa, compresa quella di coloro che, con silenzioso consenso, non si sono opposti. La memoria delle vittime – popoli, genitori, avi – ha senso se collegata al perdono e a una nuova fratellanza con carnefici pentiti. Per ottenere questo è necessario un coraggio che hanno solo le persone e i popoli più dignitosi. Le giornate della memoria non si celebrano per rievocare un passato che diventa sempre più lontano e i cui protagonisti sono ormai da tempo morti. Il ricordo serve a prendere coscienza delle violenze e delle ingiustizie che si consumano oggi o si rischia di compiere domani.

Oggi è già memoria!

Le riflessioni sui genocidi e i crimini collettivi del passato inducono a riflettere sulla differenza tra la memoria e la storia, tra simboli e fatti. La Giornata della Memoria dell’Olocausto crea imbarazzo, non certo per i valori originari che non sono in discussione. Piuttosto per le ambiguità e le strumentalizzazioni. E ancor più per la deliberata omissione di celebrarle confrontandole con un male che oggi si manifesta in forme diverse, ma la cui radice è comune a quella di ieri. Per essere utile una Giornata della Memoria deve costituire occasione per ragionare sulla contemporaneità.

Allora, anziché tante giornate della memoria, ciascuna dedicata a un singolo tragico evento, vi sia una sola Giornata della Memoria dedicata a tutte le passate violenze collettive, a tutte le discriminazioni, a tutti i genocidi. Senza bandiere e distinzioni, al fine di sentirci tutti uguali e a turno vittime e carnefici collettivi. Per riflettere sul male che cova in noi stessi. Dal quale dobbiamo guardarci con maggiore attenzione che da quello che gli “altri” potrebbero farci.

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