Pandemia, guerra e comunicazione

Sia nella crisi pandemica sia con la guerra in Ucraina sembra che i grandi mass-media applichino lo stesso metodo per condurre il popolo a un consenso quasi plebiscitario. Esso consiste nell’esibire i dissenzienti e metterli sistematicamente alla gogna. Alcuni oppositori del mainstream si prestano al gioco, loro malgrado; altri lo accettano coscientemente. Anziché dare poco rilievo a opinioni minoritarie, viene esibito solo il dissenso più radicale in modo plateale facendolo subdolamente passare per libertà di espressione. Allo stesso tempo, non si dà spazio alle posizioni moderate. 

Si crea così un “nemico” al fine di radicalizzare il pensiero prevalente e renderlo unanime. La gogna dei dissenzienti crea il timore di essere emarginati tra i cittadini incerti e spinge i più demotivati verso un supino adeguamento alla maggioranza. D’altro lato, rinforza nelle sue opinioni chi più attivamente condivide le scelte del governo.

Se nel caso della pandemia creare il consenso era ragionevole, applicare lo stesso metodo per sostenere il riarmo e la guerra appare inappropriato e incivile. È quindi opportuno ravvedere un legame tra la crisi sanitaria e la formazione dell’opinione pubblica nell’attuale situazione geopolitica e militare. Un evento così invasivo nella vita delle persone di tutto il pianeta quale la diffusione del COVID e l’impegno profuso nel contrastarlo non hanno lasciato le cose com’erano prima dal punto di vista politico e sociale.

Con la pandemia è stato necessario informare i cittadini, imporre regole severe di comportamento collettivo, pur in condizioni di incertezza scientifica, e obbligare anche i cittadini più riluttanti a vaccinarsi creando un consenso quanto più ampio possibile. Queste operazioni sono state condotte facendo ricorso a metodi sofisticati di comunicazione di massa che verosimilmente si sono ulteriormente affinati con il perdurare dell’emergenza sanitaria. In questi due anni si è accumulata un’enorme esperienza nel diffondere informazioni in grado di formare un’opinione pubblica condivisa e univoca. Si è trattato di un’operazione di profondo e invasivo contenuto politico che non ha lasciato le cose come le ha trovate.

Il governo ha giustamente delegato alcune decisioni ad autorevoli istituzioni scientifiche e persino ai militari (il generale Figliuolo in divisa) poiché nell’emergenza è opportuno fidarsi. Io stesso ho criticato alcuni intellettuali come Cacciari e Agamben, non sui principi, ma sull’opportunità della diffusione pubblica delle loro opinioni che peraltro sono state strumentalizzate e ritorte contro i loro stessi intendimenti.

Oggi è plausibile pensare che i metodi elaborati per la formazione del consenso di massa, siano applicati nel creare il sostegno dell’opinione pubblica per la guerra contro la Russia e per il riarmo? 

Non dimentichiamo che abbiamo un governo con una maggioranza quasi plebiscitaria guidato da un rappresentante della comunità internazionale e non da un politico italiano emerso da elezioni e dalla militanza politica. Andava bene per l’emergenza COVID, forse. Ma è ancora opportuno questo governo dal consenso quasi assoluto nell’attuale situazione? Quali sono stati gli effetti di questo periodo di sospensione della dialettica politica sulla formazione di un potenziale regime?

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