Io, Ovidio e Goethe

tra Metamorfosi e Tristia.

Per molto tempo, ogni anno a maggio lasciavo Baltimora per tornare in Italia. Mi prendeva un grande sconforto. Sapevo che mi distaccavo da amici veri, da colleghi, da compagni di sport e feste. In definitiva da un mondo che amavo e nel quale avevo trovato il mio posto. Gli stessi sentimenti provavo nel gennaio successivo quando lasciavo l’Italia per tornare oltre oceano chiedendomi perché non riuscissi a stare fermo in un posto.

Mi ritornavano a mente i versi dei Tristia di Ovidio citati da Goethe alla fine del suo viaggio in Italia: ‘Cum repeto noctem…’ e anche a me ancor oggi una lacrima lambisce le ciglia nel ricordare le tante cose care che abbandonavo. Immaginavo di tornare, ma in quella speranza s’insinuava il dubbio che sarebbe stato l’ultimo addio e lo sconforto cresceva mitigato e cancellato subito dopo dall’entusiasmo di trovarmi comunque a casa mia, l’una e l’altra sui due lati dell’Atlantico.

È strano pensare a come Ovidio partiva lasciando la propria casa mentre Goethe ricordi il poeta latino rammaricandosi di ritornarvi. Concludo ora come allora che la mia patria, il mio paese, la mia casa, la mia famiglia persino, sono sempre e solo me stesso ovunque sia e con chiunque mi accompagni.

Tutto il resto, compresi nostalgia e ricordi, contribuiscono a formare l’identità e la storia di ciascuno senza le quali non saremmo nessuno in nessun luogo. Anche i dolori sono una parte di noi stessi e se li coltiviamo con amore come piante preziose, esse si trasformeranno nei fiori più belli della felicità. Dai Tristia alle Metamorfosi. Coltiviamo la tristezza, come Ovidio faceva scrivendo i versi che l’alleviavano, perché è dalla tristezza e dalla nostalgia che sbocceranno domani speranza e gioia in un continuo susseguirsi.

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