Le Olimpiadi e le donne

Cento anni fa, alle Olimpiadi di Parigi per la prima volta furono ammesse le donne. Quest’anno, per la prima volta, il numero dei maschi e delle femmine che vi parteciperanno sarà uguale. Qualcuno ha detto che si tratta di un successo storico per l’emancipazione femminile. 

Nutro qualche dubbio. 

Le donne stesse dimostrano soddisfazione per essere state ammesse (notare la forma passiva) a fare ciò che è stato inventato dagli uomini. Fin qui va bene. Poiché le donne erano scoraggiate o impedite dal dedicarsi ad alcune attività ‘maschili’ era giusto pretendere il diritto di accedervi. Tutto questo appartiene al secolo scorso. Oggi, l’umanità ha bisogno che le donne producano qualcosa di propriamente femminile. Che lo sport e le Olimpiadi siano ancora attività e manifestazioni maschili è provato dal fatto che la stragrande degli allenatori e degli staff sono tuttora maschi. E anche la parte preponderante del pubblico. Solo in alcuni sport di scarso rilievo mediatico i maschi sono in minoranza.

Avremo un sostanziale cambiamento e un arricchimento culturale – anche sotto l’aspetto psico-motorio – quando ci saranno manifestazioni sportive ideate da femmine a cui partecipano liberamente anche maschi allenati e diretti da donne e uomini indifferentemente. 

Lo sport moderno e le Olimpiadi hanno centocinquant’anni. Rispetto a quando furono introdotti sono già stati ampiamente snaturati. Da momento ludico e occasione di fratellanza umana, si sono trasformate in un grande business. Anche i presupposti su cui si basavano – l’ottocentesco superamento dei limiti umani – sono obsoleti. Oggi l’umanità più che a superare i limiti imposti dalla natura deve imparare a contenersi e riscoprire il divertimento, il piacere, la naturalezza e l’armonia. Eventualmente anche attraverso una moderata competizione che sostituisca l’esasperato dramma con cui lo sport è oggi presentato. 

Inoltre, la rigida separazione dei due sessi nelle competizioni reitera un modello sessista. Gli uomini sono oggettivamente più forti delle donne in gran parte delle discipline olimpiche, non a caso inventate dai maschi. Soprattutto in quelle in cui si ricerca l’obsoleto ‘limite umano’ e si sfida la natura. Si mantenga pure la differenza permettendo alle femmine di gareggiare tra loro così come oggi si fanno competizioni per anziani e si celebrano le paraolimpiadi. Ma le donne acquisiranno davvero un ruolo e una dignità superiore quando proporranno eventi nuovi che nascono in una cultura femminile. Eventualmente in attività in cui godono un vantaggio psico-motorio sui maschi. 

Una nuova cultura e nuove attività sportive ideate in modo da non sottolineare la differenza di sesso e genere aprirebbe a una creatività da molto tempo isterilita.  La nuova cultura sportiva potrebbe piacere anche a noi uomini, o ad alcuni di noi, così come molte donne hanno dimostrato di essere in grado di praticare discipline un tempo considerate non adatte a loro. Pur continuando a fare quello che ci piace anche come maschi. E per questo assisterò alle Olimpiadi con piacere appassionandomi alle competizioni. Guarderò anche le donne che gareggiano assieme alla gran parte dei maschi e un numero notevolmente inferiore di femmine che sono istintivamente meno interessate a questi sport inventati dai maschi. Piuttosto, auspico che anche le donne partecipino in modo paritario come allenatori, tecnici e dirigenti, i quali al momento continuano a essere maschi. È inevitabile perché lo sport, per quanto praticato dalle femmine, rimane un’invenzione e un’attività ancora maschile, ma se si introducesse uno sport davvero femminile anche questo sbilanciamento si riequilibrerebbe.  

Mi chiedete quale potrebbe essere un’Olimpiade e uno sport femminile? È una domanda interessante e opportuna che spinge nella direzione della ricerca di qualcosa di nuovo e non di stanche ripetizioni di “Non lo so perché sono un uomo”. O forse perché non ci ho pensato abbastanza. Quindi lo chiedo alle donne invitandole a elaborare creativamente una propria cultura e identità. Non a fare tutto quello che è stato inventato, sviluppato e poi s’è deteriorato nell’ambito della cultura maschile. Poi, se le donne vogliono fare quello che fanno i maschi e viceversa, da parte mia non troveranno mai alcun ostacolo.

P.S.: una persona, forse non a caso una donna, ha rilevato paternalismo nelle mie affermazioni. Rileggendo l’articolo, invece, mi rendo conto che il mio tono (o la mia intenzione) era il contrario del paternalismo. Era un appello, da una posizione di inferiorità e in una situazione di crisi. Invitavo le donne (o gli uomini che pensano come donne così come ci sono molte donne che pensano come uomini e reiterano il modello maschile delle Olimpiadi e di molte altre cose) a operare come soggetto del cambiamento radicale. Non a caso ho riportato il mio saggio su Sport e Natura nel quale si possono integrare anche le relazioni tra sport e genere.

Per una trattazione più ampia, vedasi il saggio (scaricabile) allegato: “La metafora nascosta nello sport”

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