Avevo vent’anni e rincorrevo il tempo che pareva sfuggirmi. Lo rincorrevo allora come ora mi incalza. Cinquant’anni fa, aspettando il mio turno dal barbiere, passai il giornale a un anziano come me in attesa. Lo rifiutò tristemente come trattenendo una tentazione: “No, grazie, disse, se lo leggessi ora, stasera non saprei come passare il tempo”!
A me, giovane, sembrava d’averne sempre poco di tempo, tanto quanto molto ancora ne avevo davanti. Le giornate del vecchio erano lunghe e non passavano mai mentre i suoi anni volavano sempre più veloci e uguali. Le mie finivano presto e l’impazienza rendeva gli anni lunghi, diversi e densi, vissuti con la fretta di raggiungere tempi migliori. Il pensiero delle giornate vuote del vecchio in attesa di morire mi spaventò, allora e ancor più ora.
Mi sto trasformando io stesso in quel vecchio raggiunto da un tempo vano che sempre più passa invano? Sono anch’io, come Re Lear, diventato vecchio prima di diventare saggio? Vado a correre sull’argine e tornerò con una risposta… forse… ma la terrò comunque solo per me. Intanto penso che Goethe terminò il Faust a oltre ottant’anni e solo un anno prima di morire dopo averci lavorato tutta la vita.