La banalità del bene

Il vigile gentile

“Cara…” e già il tono con cui proferiva l’appellativo suonava come il preludio a un’imbarazzata scusa.“Cara, scusa, ma farò un po’ tardi per la cena”. Non sento la risposta, ma la immagino per lo meno seccata. Infatti, l’amico ha l’auricolare e mi sta accompagnando in macchina a un incontro elettorale. Replica: “Tesoro è davvero l’ultima volta, sai sono gli ultimi giorni della campagna elettorale”. Dall’altra parte del telefono immagino proteste e lamentele, tant’è che l’amico non fa a tempo a dirle: “Mangiate pure da soli che poi io mi arrangio quando torno” che la conversazione è già chiusa senza bisogno di un saluto. Mi sorride e mi dice di non preoccuparmi che alla fine la moglie lo capirà e faranno la pace: “Ci tiene che si ceni insieme e avrebbe anche ragione”, mi dice.

Mi sento un poco in colpa, ma la mia concentrazione è tutta sull’ostico incontro. Siamo un poco in ritardo anche noi, ma l’amico s’era offerto di accompagnarmi poiché, da agente di polizia municipale, conosce bene i luoghi della città diffusa della pedemontana veneta. Territori a nord delle risorgive, stupendi un tempo con vasti prati a foraggio, oggi devastati da capannoni e villette in disordine sparso. E tante tante strade sempre più grandi per raggiungerli con i camion e le auto: per qualche ora trafficate, il più delle volte deserte. Come quella sera ormai buia di tardo settembre.

In una rotatoria ben illuminata che stavamo velocemente attraversando, l’amico vede un quasi invisibile piccolo mazzo di chiavi sull’asfalto. Io non lo avevo notato e se l’avessi visto, non avrei pensato certamente di fermarmi a raccoglierle. Ma io non sono un agente della polizia municipale di un piccolo comune. Nonostante il mio ritardo e la moglie verosimilmente risentita e delusa per avere preparato una cena che sarà fredda e consumata in solitudine, immediatamente ferma la macchina. Va con prudenza a raccogliere le chiavi e con grande spontaneità mi dice che qualcuno magari era in difficoltà per averle perse.

Telefona immediatamente al collega di servizio e con tono amichevole e parlando un veneto gentile, gli segnala il ritrovamento. Ne desumo che, i cittadini della zona si rivolgano spesso alla polizia municipale con fiducia in caso di piccoli inconvenienti poiché sanno che questo è il comportamento abituale di chi svolge i servizi del Comune. Ne avranno soddisfazione anche gli agenti che sentono di svolgere un lavoro utile e tutta la società diventa più pacifica e serena.

Sono stati fatti molti progressi in questa direzione negli ultimi trent’anni e, nonostante la percezione di illegalità sia cresciuta, in concreto la criminalità è diminuita e la qualità di molti servizi migliorata. Ma della statistica ci importa poco: quello che conta è che ciascuno pensi a fare il proprio dovere e sentirsi parte della comunità. È nota la banalità del male di chi non si accorge del dolore degli altri e di come la somma di tanti mediocri atti immorali possa portare a grandi tragedie.

Esiste però anche una banalità del bene grazie alla quale tutti contribuiscono a migliorare la vita di tutti e delle comunità. Il semplice gesto del mio amico m’è sembrato eccezionale per la naturalezza con cui è stato compiuto. Un senso del proprio ruolo, pur fuori servizio e della partecipazione alla comunità radicato nell’animo spontaneamente generoso della persona e nella cultura del territorio. La moglie del mio amico avrà tenuto il broncio per qualche tempo, ma anche questo è un piccolo prezzo da pagare per il conflitto ripetuto tra dovere privato e pubblico. Per il benessere collettivo i piccoli gesti quotidiani servono tanto quanto i grandi discorsi.

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