Governabilità assicurata, rappresentanza cancellata.
La Sardegna ha una popolazione di 1,6 milioni di abitanti di cui 1,4 milioni elettori. All’incirca come la sola città di Milano o come le due province di Padova e Treviso insieme. Circa il 2,5% della popolazione nazionale. Giusto per avere un ordine di grandezza. Avendo votato solo la metà degli aventi diritto, in queste elezioni s’è espresso di fatto l’1,25% degli italiani. Le analisi dovrebbero tenere conto di questa e molte altre cose, anziché limitarsi a commentare come si trattasse di una partita tra Inter e Juventus vinta con un autogol allo scadere.
Giusta la soddisfazione per chi ha sostenuto la candidata vincente in Sardegna, la quale ha ottenuto 331mila voti (lo 0,6% della popolazione italiana). Altrettanto giustificata sarebbe quella delle liste che hanno ottenuto la maggioranza dei voti (nell’insieme 420mila di cui 333mila al candidato che si è opposto alla candidata vincente). Tra costoro c’è poco compiacimento per il risultato delle liste poiché la legge elettorale consentirà a quelle che hanno sostenuto la candidata vincente di avere una solida maggioranza in Consiglio per i cinque anni di durata della legislatura.
Infatti, il 55% degli elettori che ha votato altre liste sarà rappresentato con il solo 40% dei seggi.
Chi ha ottenuto il 45% dei voti avrà invece il 60% dei seggi.
Inoltre, ha votato solo la metà degli aventi diritto; quindi, solo un quinto dei cittadini si identificherà con la Presidente. Il Consiglio, organo rappresentativo del popolo, si svuota di significato e perde la sua centralità: tutto è delegato alla Presidente e alla Giunta che godono di una maggioranza non rappresentativa della volontà popolare. Con queste leggi chi vince anche per una sola manciata di voti prende (quasi) tutto.
Governabilità assicurata, rappresentanza cancellata.
Non è un caso che oggi Presidenti di Regione e Sindaci chiedano di essere eletti per più mandati. A livello nazionale il sistema elettorale è simile e si intende rinforzare questo modello introducendo l’elezione diretta del Capo dello Stato e del governo.
Svuotando il ruolo degli organi rappresentativi, chi governa crea un sistema di relazioni che ai professionisti della politica e a chi li manovra conviene conservare. Lo fanno senza nemmeno più accorgersene poiché sono concentrati a vincere la partita non certo sui contenuti. Un leader carismatico (ma è sufficiente che sia simpatico) e abile garantisce la rete del sottopotere formata da un gruppo selezionato di persone in grado di controllare informazione e governo. A chi effettivamente governa interessa poco il risultato delle urne.
Una prima conseguenza è un conservatorismo deprimente e una somiglianza sostanziale tra i programmi e le pratiche di maggioranza e opposizione. Nel migliore dei casi, l’una e l’altra si alternano alla battuta come a tennis, ma il gioco non cambia. Si sfidano in urlati e vuoti talk-show, diffondono mille pettegolezzi e scandali e riducono le elezioni a ‘ludi cartacei’ a cui oltre la metà degli elettori s’è stancata di giocare (abbiamo già avuto casi in cui è andato alle urne meno del 30% degli aventi diritto).
A tutto ciò si aggiunge (o dipende da) la centralizzazione montante e l’irrilevanza degli enti intermedi diretta da Roma e da Bruxelles che impongono alla periferia i propri diktat. L’aumento delle manifestazioni di piazza, sempre più violente, dimostra la grave crisi delle istituzioni rappresentative.
Ci rendiamo conto delle condizioni drammatiche in cui versa la Repubblica democratica fondata sul lavoro?